Il viaggio. Una parola che sveglia nel cuore di chi sa ascoltarla, un sentimento di sogno, di movimento continuo, di libertà.
Attraverso il viaggio immagini il superare i confini, il camminare con lo scopo di trovare qualcosa: probabilmente la pace interiore. Cosi certi grandi viaggiatori ci insegnano il senso del nomadismo; Henri de Monfreid, Nicolas Bouvier, Joseph Kessel, Slavomir Rawicz... Ma quello che ci interessa di più è l'affascinante Bruce Chatwin. Nato nel 1940, questo inglese di Birmingham doveva già per forza essere predestinato al viaggio. Infatti ci spiega lui stesso le origine linguistiche del suo cognome: "Mio zio Robin, il suonatore di fagotto,affermava che chette-wynde significava sentier sinueux nella lingua anglosassona" (cf Anatomy of restlessness, Jonathan Cape, 1996). Per ciò il piccolo Bruce era apparso sulla Terra con già l'idea che il suo futuro sarebbe stato pieno di sorprese.
Bruce Chatwin è anche il narratore delle proprie avventure di viaggio. Avventure che ci trasportano nel mondo con solo la potenza del pensiero. Ma avventure anche completate da un'immensa cultura che ci fa scoprire il naturale nomadismo dell'essere umano. I temi principali che troviamo nella letteratura di Chatwin sono sicuramente legati a questo concetto: le radici e lo sradicamento, l'esotismo e l'esilio, la proprietà e il rinunciare, la metafisica del nomadismo. Cosa intede con "nomadismo"? Secondo lui la parola è stata definita ben male dal dizionario. Il nomada non è quello che vaga alla deriva, il vanderer. Etimologicamente legato al latino e al greco, il concetto viene dal verbo "pascolare". Infatti le culture tribbali seguono un comportamento abbastanza tradizionalista, che spesso si riferisce alle stagioni. Le migrazioni si operano secondo un abbitudine già fissata dalle tradizioni secolari e sono soggette ad eventuali cambiamenti soltanto in caso di aridità o di catastrofa naturale. Il nomada segue in genere il movimento del cibo, ossia degli animali che caccia. Ma innanzitutto, Bruce Chatwin ci invita nel capire cosa rappresenta il concetto stesso di nomadismo all'interno delle nostre società contemporanee. Si potrebbe riassumere tutta la sua visione con un'unica domanda: Siamo sicuri che l'umanità possa trovare la sua pace interiore rimanendo rinchiusa nella "gabbia cittadina"? Almeno lui non lo crede affatto. E riferendosi a Pascal, ci spiega che tutta la tristezza dell'uomo è dovuta alla sua incapacità a restare tranquillamente in una stanza: "La nostra natura si riferisce al movimento. L'unica cosa che ci consola dalla nostra miseria è il divertimento".
In questo senso, il nostro avventuriere Bruce vede il nomadismo come l'ossigeno dell'umanità. Rimanere intrappolato in una stanza con le serrande chiuse deve per forza condurre l'uomo verso la follia. Cosi, l'idea del movimento continuo riflette il cambiamento che diventa quanto l'acqua e il cibo, una necessità vitale. Bravo Chatwin che prende Montaigne come punto di riferimento: "Il viaggio mi sembra un esercizio profitabile. L'anima ci trova una continua esercitazione a notare le cose sconosciute e nuove e non conosco migliore scuola che possa strutturare la vita seno proporli sempre la diversità di altre vite[...]".
A Ibn Battuta, gran' medico e infatigabile vagabondo arabo, completare quest'idea dicendo: "Quello che non viaggia, non puo conoscere il valore degli uomini".
Per concludere sù questo breve riassunto della tematica principale del nostro grande Chatwin, dobbiamo anche pensare il viaggio come modo di strutturare la coscienza. In quel senso che lo sviluppo della curiosità spontanea aiuta a crescere con il mondo che ci circonda. I bambini sviluppano la loro imaginazione e la loro arte grazie allo sforzo di scoperta e di comprensione di tutte le cose attorno alloro.
L'uomo a sempre camminato. Puo essere che il nomadismo sia il suo stato naturale, il modo di esistere veramente come individuo libero e in pace con se stesso.
Emerson: "[...] et ce bénéfice est réel, parce que nous avons le droit à ces élargissements, et, une fois ces frontières franchies, nous ne redeviendrons jamais plus tout à fait les misérables pédants que nous étions".
Romain Eychenne
"Finalmente, quel che costituisce l'ossatura dell'esistenza, non è la famiglia, ne la carriera, ne quel che gli altri potrebbero dire o pensare di voi, ma, un breve instante di questa natura, solevato da una levitazione ancora più serena di quella dell'amore, e che la vita ci distribuisce con una parsimonia alla misura del nostro cuore debbole".
RépondreSupprimer(Nicolas Bouvier in L'Usage du monde)
L'hai questa citazione in francese? Grazie
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