dimanche 15 novembre 2009

Una ragazza che diffonde le voci, ecco una "radio putachju"!



 Piazzetta delle chiese di Porto-Vecchio.



In Corsica, quando si tratta di voci si parla di putachji. Qualcuno che è noto per parlare di putachji è chiamato putachjonu o per fare più corte e più cativo putachjò. C'è un vero vocabulario svilupato con questa parola. Ce ne una che mi piace, "radio putachju". Si dice di una persona che è una radio putachju per mostrare che parla sempre della gente e che solo la vita degli altri l’interessa. E un termo affetivo communque è un vero fenomeno e sopratutto è un' instituzione sociale che simboliza l'anima di una città, di un villagio, di una famiglia. 

Per essere una "radio putachju" bisogna a sbrogliarsi sempre per sapere tutto, per essere nella confidenza e dopo diffondere quello che hai imparato agli altri.Connoscere la genealogia delle famigle e tutti i legami che esistono tra le personne è una cosa indispensabile. Generalmente sono le donne che hanno questo ruolo. Quella definizione descrive abastanza bene una amica mia, Vanessa, che tene il suo talente di sua madre. Sè camini con Vanessa sei securo di fermarti tutte le cinque minuti per dire buongiorno a qualcuno e ogni volta fà un commento sulla personne che abbiamo giusto encontrato; “U tintu, la sua fidanzata l’ha lasciato dui giorni fà”... In un mezzogiorno puoi imparare più che la tua menta poteva immaginare. Quello che non sapevo è che quelle amica era appassionatta di genealogia. Connesce tutte le famiglie di Porto-Vecchio, Bonifaccio e dell’ Alta Rocca (Ci vuole sapere che gli abitanti di Porto-Vecchio vengono tutti dall’Alta Rocca dove abbiamo tutti una casa in un villaggio di montagna, ne parlerò più tarde). E per quello che ha comminicato degli studii di genealogia, “in Corsica c’è un bisogno” mi ha detto.


Il mio villagio di montagna un giorno di Scirocco.



“Jessy! Mickey!" E si sente la voce di Fifine, la pettegola del mio villaggio di montagna che chiama i suoi cani. Quella voce l'ho sentita tante volte, e sempre per parlare degli altri. Anche se abita li tutto l’anno sa tutto di tè, anche il giorno al quale sali alla tua casa per l'estate, sfugendo il caldo di Porto-Vecchio e i "pinzuti". Te accoglie con il suo grande soriso, certo, ma a la Fifina piace parlare e se non li dici di fermarsi, rimane a casa tua tutta la giornata. E per quello che mia madre corre sempre quando Fifine e la sua grosse voce annoncia il suo giro nel villagio, "Jessy! Mickey!". Caminando da un punto del villaggio a un altro si ferma a quasi dappertutto. Per me Fifine è l’incarnazione del villaggio, l’ho sempre vista e la vedo ancora. 


 Radio Corsica Frequenza Mora



Bonghjornu a tutti, sono le otto e mezzo ecco dopo le informazioni il Forum comminciarà, avrete fino alle 10 per parlare del cuotidiano, della politica e dei vostri problemi.” La voce di Jean-Michel Fraticelli, presentatore di Radio Corsica Frequenza Mora, risuona ancora nella mia mente. Tutte le matine il  Forum fa partecipare i corsi alla vita “cittadina” dell’isola (Tuttavia definirei quel programo di basso livello). I politichi rispondono alle polemiche lanciate da gente che gli sono opposti, i cantanti e i musicista provano di farsi sentire, le vecchie donne parlano dei loro problemi con il cane del vicino e i sindicati della volontà delle autorità di cambiare il nome dell’ aeroporto Campo dell’ Oro do Aiaccio in aeroporto Napoléon Bonaparte... Quando uno sà qualcosa di importante su un altro lo fà sapere agli altri. Quanti uomini politichi si sono battuti su quella radio e quante polemiche si sono proseguiti nei giornali ? Il Forum è un’emissione di radio putachji. La zia di mia madre chiama spesso il Forum e per non essere riconnosciuta da uno di i suoi secondi nomi. Parla allora del piccolo fiume che c’è nel villaggio e che l’impedisce di uscire del suo terreno i giorni di grosse pioggie. Ci fa ridere nella famiglia perché la riconnosciamo e ne parliamo sempre al pranzo con miei nonni. 


 Avrei potuto parlare delle donne che leggono nel olio per connoscere il tuo futuro e per dare l’ochju, il malocchio. Quelle donne fanno parte di quella società delle voci e sono chiamate i Mazzeri. Avrei anche potuto parlare della tradizione che esiste nel nord della Corsica che si chiama i chjami e rispondi. E in parole che si organizzano i legami trà le personne, forse per non dimenticare che la cultura corsa è orale.


lundi 9 novembre 2009

I caccia-bufala stimolano il dibattito


LE VOCI PURE HANNO I LORO INVESTIGATORI


1 / LE ANTICHE RADICI DELLA BUFALA

[attraverso le leggende e le bufale] "gli uomini
esprimono inconsapevolmente i propri pregiudizi,
gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni".
Marc Bloch, Riflessioni sulle false notizie della guerra (1921)

     Proviamo ad essere onesti. A chi non è mai capitato abboccare ad una bufala, cascare nella medesima catena di Sant’Antonio o provare a far scoppiare chicchi di mais col telefonino ? Questuno a cui la vivenda non è mai capitata, vergine di ogni credulità è di certo o sovraumano o vittima di una mensogna a se stesso, preda della sua bufala. Cosi, confessare la sua propria ingenuità con modestia è spesso l’unica cosa da fare per rimanere onesti con se etessi.
     Ma non preocupiamoci, le voci infondate a cui aderiamo sono anziché una forma di ignoranza barbare e vergognosa un simbolo di umanita. Ci troviamo rassicurati di vedere la bufala come il proprio dell’uomo, quel essere sociale che vive il quotidiano in un flusso continuo di informazioni. Annegati da queste voci, è piu facile sottomerterci all’ autorita dei narratori qualunque siano (com’è possibile per esempio rimettere in dubbio la partizione del belgio quando questa venne annunciata dalla RTBF in dicembre 2006). Ed inoltre facilissimo lasciarsi guidare dalle nostre paure, sentimenti a altri mezzi che ci fanno apprezzare il mondo con parzialità e preguidizi. Cosi veniamo ad essere coinvolti nel trasmettere false notizie. Ci sentiamo pure valorizzati dal nostro nuovo ruolo di predicatore di verità occultate, ed abitato da questa falace scoperta ci affrettiamo nel diffondere con piacere la nostra bufala.


2/IL NUOVO TERRENO DI GIOCO DELLA BUFALA

     Assumendo questa modesta riflessione sulle radici delle voci, leggende metropolitane e altre bufere, un blog, http://attivissimo.blogspot.com si è perciò proposto di svicerare le false rivelazioni, le notizie sussurate a grande velocità su internet. Sarebbe finalmente apparso un bastione di verosimilità nel mare del web partecipativo, laddove le fonti autorevoli sone scarse. La tela, ormai diventata inseparabile dal quotidiano del medio occidentale, è in effetti diventata il mezzo più rapido per la diffusione di voci a scala mondiale, creando così un villagio globale che condivide il vero e il falso senza distinzione. Gli utenti sono diventati i piu grandi produttori di bufale, sfumando nel mondo del web 2.0, le frontiere trà verosimile e veridico, sospetto e condanna.


3/ I WEB-PREDATORI DELLE VOCI

     Questo blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico adetto di debunking (cioè l’atto di demistificare e razionalizzare le affermazioni pseudoscientifiche), si propone perciò di indagare sulle voci diffuse su internet, confermandole o inversamente infermandole. Alla maniera di un « detective antibufala », l’autore chiede peraltro ai membri di completare e arricchire l’inchiesta con appositi complementi d’indagine. Avendo un atteggiamento cinico nei confronti delle voci, risalendo le fonti dell’informazione, misurando il tornaconto degli autori, e infine osservando la verosimilità dei dati esposti, Attivissimo pretende smontare la maggior parte delle bufere di massima notorietà su internet. Il vantaggio di questo metodo, oltre quello di usare un metodo analitico assai rigoroso, è quello di fare partecipare il piu gran numero nello smantellamento invece che nella produzione di news ingannevoli, incantevoli, e talvolta totalmente affabulatrici. Potete qui sotto cliccare su questi collegamenti per leggere le indagini su alcune celebre voci.

Sull’undici settembre : http://undicisettembre.blogspot.com/

     Infine, queste analisi, oltre a ricercare il lodevole scopo di verità, crea una dialectica costruttiva trà i tenenti della voce e quelli come Attivissimo metteno alla luce gli argomenti incompleti o fraudulosi. Creando il dibattito, siamo spinti ad accumulare sempre piu dati sulle vivcenda che portano a controversa. Riguardando queste opposizioni è particolarmente noto il dibattito trà complottisti e i suoi detrattori riguardando gli eventi dell’undici settembre. Man mano, spuntano fuori alcuni dati indubitabili che, imbozzacchiscono il margine di incertezza delle note voci.
     Rendere affidabile il mondo dell’internet, ecco una missione assunta coraggiosamente dagli autori di http://attivissimo.blogspot.com, un desiderio piuttosto essenziale per rendere finalmente realista il diritto all’informazione. Un passo verso l’uguaglianza trà i cittadini tramite l’accesso alla conoscenza mediatoca e scientifica? Utopico mi direte, ma di certo la piccola pietra che pone questo blog non è di certo inutile, affinche il web non sia un « muro della vergogna », ma un vero e proprio ponte attraverso le culture.


MARTELLI Jean-Thomas

dimanche 1 novembre 2009

Il deserto dei Grandi Laghi

 
Normalmente, l’automobile è associata all’idea di rendere accessibili dei luoghi lontani, rompere i confini. Ma nella città americana dell’autombile, Detroit, senza macchina, non hai accesso a un’alimentazione sana.

 
Questo fenomeno è chiamato negli Stati Uniti, il “food desert”. Non interviene solo a Detroit, ma come al solito a Detroit, i problemi americani sono amplificati dal quasi abbandono della città dopo la crisi dell'autombile americana. Altre città degli Stati Uniti conoscono questo fenomeno come Chicago o Cleveland.
La definizione di un “food desert” è una zona dove ci si mette due volte più tempo per andare a un supermercato da una stazione di servizio o una drogheria. L’offerta di prodotti alimentari per la gente dei food desert si compone solo di ortaggi marci, o schifezze che minacciano la salute degli abitanti di Detroit. Dei ricercatori hanno stimato che la metà dei cittadini di Detroit vive in un food desert, cioè più di 550 000 personne che non hanno accesso a un’alimentazione sana. La conseguenza di questo fenomeno, aggiunto ai problemi cronici di povertà, insalubrità delle case, o la droga, è che gli abitanti di Detroit hanno una speranza di vita media di 11 anni inferiore alla media americana.
 
L’origine di questo fenomeno è complessa. Viene in parte dall’abbandono di Detroit in seguito alle rivolte urbane degli afro-americani nelle anni 60, dopodiché i bianchi hanno smesso di vivere all’interino di Detroit e sono andati nei sobborghi. La città è diventata una delle prime a conoscere il fenomeno dell’urban sprawl, cioè l’espansione urbana sfrenata degli anni 70 negli Stati Uniti. Questo fenomeno fu amplificato dalla costruzione iniziata nel 1956 dal presidente Eisenhower dell' Interstate Highway System, una rete oggi di 75 000 km che connette le città ai loro sobborghi. A Detroit, dove il fordismo si fonde sull’ideale di una macchina per tutti gli impiegati, gli operai hanno potuto vivere nel sobborgo e lavorare nella città. Hanno lasciato i neri in città. Adesso, l'82% dei abitanti di Detroit sono neri e il 12% bianchi. La segregazione non è mai veramente cessata negli Stati Uniti.

Samuel Goëta


I nuovi muri....




Mancano pochi giorni all'anniversario della caduta del muro di Berlino. Ma, vent'anni dopo, l'entusiasmo non è più lo stesso. 

Anche se il 1989 ha segnato il nostro tempo. Perché quel muro marcava una divisione al tempo stesso geopolitica, economica, ideologica. Fra sistemi democratici e regimi comunisti, liberismo e dirigismo. Fra mercato e statalismo. La sua caduta ha prodotto effetti violenti. Anche da noi. In Italia. Il regime più socialista dell'Occidente. Visto l'intreccio fra economia, politica e stato. Il muro, in Italia, è crollato qualche anno dopo. Nel 1992. Ha seppellito la prima Repubblica. Il partito comunista più importante dell'Occidente costretto a cambiar nome, pelle e identità. I partiti di governo, spazzati via da Tangentopoli, ma anche dalla fine della rendita di posizione garantita dall'anticomunismo. 

Vent'anni dopo la caduta del muro di Berlino, quindici anni dopo il crollo della prima Repubblica, l'emozione si è un po' raffreddata. Non solo per effetto del tempo, della routine. È l'impressione che altri muri siano sorti al loro posto. Alcuni, negli stessi luoghi del passato. Anzitutto, il comunismo. In Italia non se n'è mai sentito parlare così tanto come da quando non c'è più. Comunisti. Tutti coloro che stanno a sinistra. Di Berlusconi. Anzi: tutti quelli che sono contro di lui. D'altronde, il suo successo politico si deve anche - e in buona misura - a questo. Aver tenuto vivo l'anticomunismo senza - e dopo - il comunismo. Al posto del muro di Berlino: il muro di Arcore. Per costringere l'elettorato di centrosinistra dentro gli stessi confini del Fronte Popolare nel 1948. Anche se da allora è cambiato tutto, nella politica e nella società. 

Proprio per questo, però, le passioni si scatenano - talora - più violente di prima. Perché non sono in gioco diverse idee della storia e del futuro. Ma stili di vita, opinioni, valori che riguardano la vita quotidiana. E al posto dei partiti ci sono le persone. I leader. Pubblico e privato: senza soluzione di continuità. Sotto gli occhi di tutti. Comunicati sui media. Per cui le differenze vengono ribadite, gridate. Scavano solchi profondi. Mentre ieri erano (auto) evidenti e riconosciute. 

Il muro di Berlino. È crollato insieme allo statalismo e al trionfo del mercato e del privato. Ma oggi, dopo il disastro della finanza globale, in Occidente si assiste al ritorno dello Stato. Invocato dovunque e soprattutto in Italia. Per proteggere i settori sociali colpiti dalla crisi. Sempre più ampi. Ma reclamato anche dagli attori del mercato stesso. Gli imprenditori. Perfino le banche. Cosa farebbero senza il soccorso dello Stato? 
E poi gli Stati nazionali. La fine del muro di Berlino ne annunciava la crisi. Insieme ai confini. Parallelamente al rafforzarsi di altre - e nuove - entità sovranazionali. Sono sempre lì. Evocati e invocati. Attenti a rivendicare la loro autorità. All'interno dei loro confini. Per quanto cambiati profondamente, rispetto a vent'anni fa. Si veda la "grande" Germania ri-unita. Così pronta a tutelare il proprio interesse nazionale. 

Certo, il crollo del muro ha allargato ad Est le frontiere d'Europa. Ci ha avvicinati all'Oriente. E ha favorito il flusso di milioni di cittadini. Attraverso confini sempre più aperti. E noi, impauriti dal numero crescente degli immigrati: ci fingiamo "padroni a casa nostra". Invochiamo altri muri. Nuovi muri. Per terra e per mare. Ma, soprattutto, erigiamo nuovi confini davanti e intorno a noi. Preferiamo non vedere. Non confonderci. Con gli stranieri: che restino tali. 
La caduta del muro di Berlino, vent'anni fa. Ha allungato la nostra storia recente. Ci ha ributtato indietro, ben oltre gli anni Ottanta. Fin dentro agli anni Settanta. Con cui non abbiamo mai saputo fare i conti. Così, quarant'anni dopo, abbiamo abbattuto anche il muro del Sessantotto. Liquidato senza rimpianto da molti critici. Talora, gli stessi protagonisti di quella stagione. Non ce n'era bisogno, in realtà. Il Sessantotto era già finito da tempo. Ma al suo posto è emerso l'antisessantottismo. Di chi invoca il ritorno dell'autorità perduta. Dei padri e dei professori. Delle istituzioni e dei valori della tradizione. 

Nuovi muri. Che, paradossalmente, ridimensionano trasformazioni sociali e conquiste civili importanti, che parevano irreversibili. Basta pensare alla divisione di genere. Tante lotte e tante contestazioni. Nel privato e nel pubblico. Il femminismo. Le pari opportunità. Contro la segregazione femminile nelle carriere. Nel lavoro, nelle professioni. Contro l'immagine della donna-oggetto. Per ritrovarci, oggi, in un paese di veline. Dove le misure che contano, per le donne, non riguardano certo il quoziente intellettivo. Dove la sessualità è esibita come segno di potere. Usata come merce sui media. Dove si ironizza su Rosy Bindi, "più bella che intelligente". Neanche cinquant'anni fa... 
Fra tanti nuovi muri che sorgono intorno a noi, solo uno pare definitivamente crollato. Quello fra le generazioni. Padri e figli. Professori e studenti. Anziani e giovani. Duro da scalare, per i ragazzi. Marcava il cambiamento. L'innovazione sociale. Oggi non c'è più. Perché i ventenni, nati nel 1989 (come il mio figlio maggiore), sono impegnati ad affrontare il loro eterno presente. Precari per definizione. In bilico. Senza passato e senza futuro. E senza territorio, vista la loro confidenza con le tecnologie della comunicazione ("Info-nauti", li hanno definiti nei giorni scorsi Luigi Ceccarini e Martina Di Pierdomenico su Repubblica. it). Mentre gli adulti latitano e i vecchi sono scomparsi. Vista l'ostinazione con cui insistiamo a dirci tutti - eternamente - giovani. 

Così, vent'anni dopo, è difficile non cogliere un po' di nostalgia. Del Muro. Quand'era uno solo. Visibile. A modo suo, rassicurante. Capace di separare il giusto dall'ingiusto e il bene dal male. Mentre oggi che è crollato - e il mondo è più largo e più aperto - incontriamo muri ovunque. Piccoli e invisibili. Siamo noi stessi a costruirli. Per bisogno di riconoscerci. Per paura di perderci. Per paura. 

vendredi 23 octobre 2009

Qual’è la frontiera tra un terrorista e un combattente della libertà?


Qual’è la frontiera tra un terrorista e un combattente della libertà?


Dall’undici Settembre, il mondo sembra avere scoperto l'ampiezza del terrorismo e le sue implicazioni sui civili. Con l’aumento dal 2003 degli attacchi terroristi (nazionali, ma non internazionali), ci si continua a interrogare a proposito dello statuto delle persone coinvolte in questi atti? Cioè quale reazione devono  intraprendere gli Stati riguardo agli autori dei turbamenti. Con la reazione degli Stati si definisce anche la risposta del diritto nazionale e internazionale di fronte alla violenza e alle azioni clamorose. Ci sono due opzioni : o l’autore dell’atto è considerato come un “agente del male”, cioè come un terrorista, o all'inverso, come un individuo che segue le sue credenze politiche che possono giustificare l’uso della violenza (se permette come in Montenegro di accelerare un processo politico iniziato da lungo tempo), cioè come un combattente della Libertà. Ma, chi decide dell’etichetta da dare? Qual’è la frontiera tra un terrorista e un combattente della libertà?
Per prima cosa, si deve studiare la motivazione dell'autore. L’atto terrorista si definisce come l’atto di un gruppo che vuole imporre un cambio politico, sociale o giuridico grazie all’uso del terrore. Un combattente della libertà si oppone a uno Stato perchè considera che quest’ultimo non rispetta i diritti di una minoranza del popolo. Dunque, tutti e due hanno obiettivi politici e usano la violenza per dare più rilievo alle loro azioni.
Secondo, possiamo vedere qual'è il tipo delle loro azioni : la violenza è usata da entrambe le parti. In ogni caso, si nota una differenza nel grado della violenza e nelle persone mirate. Il terrorista sarebbe più violento, e i suoi attacchi sarebbero indiscriminati. Mentre il combattente avrebbe il potere, cioè i delegati o gli ufficiali, di scegliere la propria vittima, e non farebbe niente ai civili “innocenti”. Ma queste differenze non sono una regola rigorosa.
Ci sarebbe allora una frontiera specifica, quella data dagli Stati. Per uno stato come Israele, i Palestinesi sono dei terroristi, mentre per gli altri paesi arabi, è il contrario. Nelson Mandela è stato considerato come un terrorista quando c’era ancora l’Apartheid. Oggi è un eroe che ha vinto il razzismo di stato e dato un esempio di causa giusta da difendere anche se si deve entrare in conflitto con lo Stato, istanza suprema nell'ordine mondiale.
La frontiera non si trova nella definizione, neanche nell’analisi dei fatti, ma nella soggettività dello Stato il cui territorio è il teatro degli attacchi terroristi. Non è impermeabile la frontiera tra un terrorista e un combattente della Libertà. Il tempo e la comunità internazionale sono i due elementi che possono tracciare una frontiera

Mélaine Benassi


jeudi 22 octobre 2009

Carbon tax?

Ieri, il mondo era diviso tra frontiere, stati, nazioni ma anche mari, montagne, deserti... tanti ostacoli spaziali visibili e chiari/evidenti. Oggi il muro è crollato, le frontiere si sono aperte, gli scambi non smettono mai. Il mondo è in moto permanente e non finisce di produrre, di consumare, di inquinare.  Il modo di produrre e il consumismo occidentale non hanno trovato confini, si sono sviluppati in modo sfrenato sulla superficie del globo. Ma il capitalismo ha tracciato una nuova frontiera quella tra i paesi ricchi occidentali e i paesi del sud più poveri che cercano bene o male di svilupparsi. I paesi industrializzati e sviluppati hanno delocalizzato le fabbriche nel terzo mondo che produce quasi tutti  i beni fabbricati nel mondo, lasciandogli tutti problemi d’inquinamento legati alla produzione industriale.  

E' un problema di prima importanza con i nuovi principi e norme internazionali di sviluppo sostenibile. La creazione di nuove norme in questi paesi in via di sviluppo è confrontata a un doppio problema : lo sviluppo di strutture durevoli, e lo sviluppo sociale del benessere. Non hanno ancora colpito il livello di sviluppo e di stabilità che devono costringersi a dei normi e dei obietivi effetivi di riduzione dei emissioni di CO2, che i paesi ricchi non ce l’ha fanno. (???) Tre principi  formulati al vertice di Rio compensano quest handicap e squilibrano questi svantaggi: primo il principio di debito che i paesi ricchi hanno verso i paesi in via di sviluppo per avere inquinato in eccesso, per avere approfittato del loro ritardo (di sviluppo)e perfino per avere svuotato le risorse del pianeta. Il secondo é il principio di sviluppo comune ma con una responsabilità distinta che suggerisce uno sviluppio più equilibrato e giusto tra i paesi industrializzati e il terzo mondo (che ha una responsabilità piu alta per il fatto che i paesi ricchi possiedono le tecnologie avanzate e un sistema di politiche dell' ambiente, i centri de ricerca e la conoscenza). Il terzo é il principio di giustizia e d'equità. Questi principi sono iscritti nei protocolli e nei trattati internationali che regolano il consenso sullo sviluppo sostenibile e le politiche dell'ambiente che ha firmato inoltre la Francia. 

Questa Francia (con il sostegno di Berlino) che vuole imporre l’idea svedese di una “carbon tax alle frontiere” qualche mese prima del vertice di Copenhaguen, a tutti paesi che non vogliono firmare il futuro protocollo, o che non rispetterebbero i principi e gli obiettivi. La carbon tax sarebbe una tassa sui prodotti importati la cui produzione non rispetta le norme di produzione sostenibile e di emissione d’anidride carbonica. Ma i paesi interessati alla tassa sono i paesi produttori di beni industriali: i paesi del terzo mondo che ospitano le industrie e le aziende dei paesi sviluppati. Dov’é il principio di gustizia et di equità? Inoltre i paesi ricchi dovrebbero svolgere un ruolo di appoggio e d’assistenza finanziaria allo sviluppo di una crescita sostenibile. L’idea di carbon tax viene al contrario a opporsi ai principi formulati precedentemente: di giustizia, di svilupp a differenti livelli, e di  appoggio. 

Si aggiunge un’altra frontiera alla fontiera che divide il mondo sviluppato e il terzo mondo, quella dell’ambiente e della gestione dell’inquinamento, una frontiera ancora piu assurda per il fatto che non si possono erigere confini contro l’inquinamento. La nuvola radioattiva di Chernobyl si era fermata alle frontiere della Francia nel 1986, mentre Nicolas Sarkozy pensa di fermare la nuvola inquinata e d’anidrida carbonica ai confini della Francia, e con ambizioni, ai confini dello spazio Schengen. Se l’iniziativa francese era di incoraggiare la ratifica del trattato di Copenhaguen (7/12/2010), il volontarismo politico rischia al contrario di ostacolare il dialogo e le trattative del vertice.

mercredi 21 octobre 2009

Dove si trova il Monte Bianco ?


La frontiera, nel primo senso della parola, è una barriera fisica. Il territorio è proprio il primo soggetto che viene in mente. E pure le frontiere non sono sempre semplici e chiare. La storia sul Monte Bianco ne è la prova.



Dove ti trovi quando infine sei arrivato in cima al Monte Bianco? Domanda stupida, davvero ? Invece gli studenti italiani e gli studenti francesi apprendono che il Monte Bianco, cima più alta d’Europa, è rispettosamente sul loro paese. Qui sta il punto !


Per capire la lunga disputa tra Italia e Francia su questo punto, bisogna tornare all’epoca dall’annessione della Savoia alla Francia nel 1860. I due paesi firmarono il trattato di Torino che divideva in due la vetta del Monte Bianco, cioè era frontaliero. Tuttavia nel 1865, il capitano Mieulet, un francese, realizzò una carta che inglobava in tutto il Monte Bianco sul territorio francese. Per gli italiani questa carta è ovviamente un falso storico senza valore giuridico.


Quindi dal XIX secolo all’oggi, Italia e Francia non hanno smesso litigare a proposito della frontiera nelle Alpi. Anche se i due club alpini francesi e italiani hanno provato a fare una carta condivisa con il progetto « Alpi senza frontiera », questa non è stata riconosciuta officialmente. I francesi riconoscono il Monte Bianco sul loro territorio e il Monte Bianco di Courmayeur come frontaliero. Mentre gli italiani dicono che il Monte Bianco è frontaliero e il Monte Bianco di Courmayeur si trova in tutto sul loro territorio.


Magari i due paesi smetterebbero di bisticciare su questo punto se i popoli del Caucaso rivendicassero la più alta cima d’Europa (con 5633 metri) il loro Monte Elbrouz. Infatti il Caucaso appartiene alla catena degli Urali, frontiera naturale tra Russia e Francia.
Nella logica della recente abolizione delle frontiere, questo problema si trasforma in una stupida rivalità per la cima più alta -almeno per adesso- d’Europa…


Charlotte Moalli

ITALIA-ERITREA


ITALIA-ERITREA

Alla fine dell' ottocento l’Italia, unita da pochi anni, stava cercando territori disponibili nei quali, la sua popolazione potesse andare senza perdere la nazionalità italiana. Difatti, in questo periodo, la lingua e la cultura italiana avevano una vera e propria importanza. Si cercava di estendere l’italianità nel mondo.
In un mondo nel quale la potenza si misurava in base alla superficie territoriale delle colonie che appartenevano ai paesi europei, l’italia si rivelava abbastanza debole. Ecco perchè, la colonizzazione dell’Eritrea aveva un tale valore: l’Italia doveva esister al di fuori dell'Europa . Le frontiere fissate in questo periodo nella colonia sono rimaste le stesse oggi.
Però, il sogno avverato di un impero in Africa, prende fine con la sconfitta italiana della seconda guerra mondiale. L’Eritrea viene amministrata dal Regno Unito fino al 1952, poi una risoluzionze delle Nazioni Unite costringe il paese ad unirsi con l’Etiopia. La dominazione diventa sempre più grande e il popolo eritreo si rivolta nel 1958. Dopo anni di lotta, l’Eritrea è liberata e diventa indepente nel 1991.

Oggi si vede che immigranti africani, tra cui alcuni eritrei, vogliono raggiungere la costa italiana. Questo flusso di migrazione ha toccato l’opinione pubblica con la tragedia di Lampedusa.
Negli ultimi giorni di agosto, c’è stata una nuova strage di immigranti nel canale di Sicilia in cui tanti sono morti e soltanto cinque sono sopravvissuti. Solleva il problema dell'  assenza di assistenza e della responsabilità dei paesi che controllano questa zona di mare. A proposito di questo, c’è un conflitto tra Italia e Malta:  entrambi i paesi sostengono che il gommone con gli immigranti non era nella loro zona marittima o che gli immigranti non hanno accettato il loro aiuto. Difatti, l’Italia accusa Malta che respinge gli attacchi sostenendo che è stata data assistenza secondo « gli obblighi internazionali » e che gli immigranti si sarebbero rifiutati di salire a bordo della loro motovedetta.

Quest’opposizione tra i due paesi sembra senza fine e i morti in mare aumentano ogni giorno. Da dieci anni l’Italia sta negoziando un accordo sullo spazio maritimo di ricerca e salvataggio però la firma non la vediamo mai.
La Chiesa prova a toccare l’opinione, parla di « occidente ad occhi chiusi », di offesa all’umanità ed al senso cristiano della vita.
Alcune persone in Italia sottolineano il legame storico tra Italia e Eritrea e quindi un dovere di dare asilo. In questo senso, Amnesty International dice che l’Italia e Malta hanno obbligazioni internazionali di proteggere i migranti. Il paese non deve spingere via i sopravvissuti (che sono inviati i campi in Libia) ma deve considerare i bisogni dei migranti che hanno il diritto di chiedere lo statuto di rifiugiato.

mardi 20 octobre 2009

Una serata da non mancare!







L'Association Culturelle Piazza Grande vous invite


Vendredi 23 octobre à 19h30 
Conférence sur Gomorra de Roberto Saviano 




à la Librairie All Books & Co.

1b Rue Cabassol, Aix en Provence


(Entrée Libre)




Association Culturelle "Piazza Grande"
www.assopiazzagrande.blogspot.com
assopiazzagrande@gmail.com

vendredi 16 octobre 2009

Hermes...

Per riffletere sui confini bisogna rivolgersi ad un personnaggio che, con le sue moltiple funzione simbolizza bene la complessita del tema dei confini: Hermes.

Nella mitologia greca, Hermes è il dio dei confini. Ma è anche quello dei viaggiatori, dei pastori e dei mandriani, degli oratori e dei poeti, della letteratura, dell’atletica, dei pesi e delle misure, del commercio e dell’astuzia caratteristica di ladri e bugiardi ed accompagna anche le anime nel regno sotterrane dell’Ade...tenuto conto di tutte queste funzione pensare i confini non è affare facile.

Se ci sono tanti problemi con i confini è perchè Hermes non mantiene piu l’equilibrio.
Con il mito, si puo capire come si organizza il mondo dei confini. Hermes è dio dei confini in un duplice senso: prima, protegge la casa e le greggi e poi protegge le strade mantenendole percorribili; fa anche il messaggero tra gli dei e gli uomini, permettando gli scambi tra di loro ed evitando una contaminazione tra il regno divino e quello umano, senza lui si puo avere una forma di perdita delle reciproche identità.
Nel Pantheon greco, Hermes è spesso rappresentato con Hestia, la dea del centro della casa, loro due rappresentano la continuità e la stabilità. Quest’associazione insista sulla necessità di un’articolazione costante tra centro e confini. Il mondo umano è polarizzato con un dentro e di un fuori. Il "dentro" rassicurante e il "fuori" inquietante.
Hermes è il simbolo del passaggio dalla chiusura del privato all'apertura del pubblico.

Ma cosa si passa quando Hermes sostituisce Hestia?

Se si perde il punto di riferimento c’è il pericolo di uno sviluppo di un comportamento ossessivo. In questo caso si vede bene l’importanza del controllo sui limiti che separa qualcuno dagli altri.
Un’ altro problema può risultare della perdita di questo punto: un’intruzione nella vita privata perchè non si sa più dove commincia ne' dove finisce la proprietà privata. Bisogna pensare al espansione del mercato e alla globalizzazione che sono la rapresentazione di questa perdita di punto di riferimento dove lo spazio di communicazione e di consumo non si distinguono più di quello della vita privata. O ancora quando il potere politico si incrosta in tutti campi della vita privata. Si puo allora dire che Ermes ha sostuito Estia, confondendo il dentro e il fuori, cancellando la frontiera tra interno-esterno. Questa sostituzione è all’origine di una riorganizzazione del modo di vita di ognuno che deve imparire a vivere con queste nuove regole senza pero dimenticare che c’è bisogno di mantenere uno spazio privato.

Diventa necessario ritrovare quell’equilibrio greco: non si deve avere un centro chiuso, bisogna al contrario che questo spazio possa essere percorso: è il caso dello spazio pubblico politico, per la maggior parte sempre in movimento, questo spazio è un passaggio dalla chiusura del privato all'apertura del pubblico, rappresentando il passaggio dell’introversione all’estroversione di una persona.

Le frontiere nell'Africa del Sud




L’Arica del Sud fù e è ancora l’illustrazione di molte frontiere.

Nel passato di questo paese, delle frontiere si sono svilupati con l’apartheid. L'apartheid fu adottato dal “nazionalista del Sudafrica” (NP) dopo la seconda guerra mondiale.. Quest’idea politica è nata durante la seconda guerra mondiale con un gruppo di intellettuali afrikaner influenzati dal nazismo . La filosofia di quest’ideologia difendeva la segregazione razziale per escludere e isolare un individuo sulla base dell’appartenanza a une razza.

Quindi la popolaziona era divisa tra i neri, i bianchi, gli indiani e i mezzapelle.

Erano diverse frontiere che divisevano questi gruppi etnici:
• Delle frontiere politiche: per esempio, una legge privava i non bianchi della cittadinanza sudafricana e dei diritti politici. I non bianchi non potevano votare per gli elezioni o essere eletti. Inoltre, le leggi proibivano quasi tutte le relazioni interrazziali, istituivano luoghi pubblici separati (banchi, bagni).
• Delle frontiere geografiche: la separazione dei bianchi dai neri nelle zone abitate da entrambi. I quartieri erano per i bianchi o non bianchi.
• Delle frontiere economiche: qualchi mestiere erano riservati dai bianchi
• Delle frontiere sociale: c’era la proibizione dei matrimoni interrazziali; c’era probito di avere dei rapporti sessuali con una persona di razza diversa

La liberazione di Nelson Mandela negli anni novanta decretò la fine dell'apartheid.

Da qualchi anni, c’è une riconecenza delle queste frontiere ingiuste.

La Commissione per la Verità e la Riconciliazione, istituita nel 1995, face un lavoro per raccogliere testimonianze sul non rispetto dei diritti umani durante questo periodo. Ha concesso l’amnistia dalle personi che confessano i loro crimi comessi per rispetere le instruzione del governo.
Inoltre, l'apartheid è stato proclamato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite, entrata in vigore nel 1976 (International Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid). È stato recentemente riconosciuto nella lista dei crimini contro l'umanità che la Corte penale internazionale può perseguire.

Nonostante ciò delle nuove frontiere che erano rinasciati. Un documentario di Arte sviluppa questa idea di « poveri bianchi » mostrevando che vivono nei quartieri isolati delle città. Sono i nuovi esclusi. In oltre con l’ « affirmative action » instituata qualchi anni fà, molti mestieri sono riservati ai neri. Quindi, il racismo e delle frontiere sono ancore presenti tra i gruppi razziali nell’Africa del Sud.

Clémentine

mardi 13 octobre 2009

LAVORA O SEI DISINTEGRATO!



Nelle nostre società contemporanee, c'è una frontiera ,costruita dagli uomini, tra la gente che lavora e quella che è disoccupata. Il lavoro non è solo un mezzo per sostenere le loro esigenze, ma da anche un stato sociale.
Avere un lavoro è necessario per incontrare degli amici, di potere parlare in società e sopratutto di essere credibile. Quando qualcuno deve dire che non ha un lavoro, lui confessa di essere disoccupato più che dice.
Per esempio, quando andiamo al ristorante con amici, parliamo tutti del nostro lavoro o delle storie d'ufficio. E se non siamo parlando del lovoro, parliamo delle cose che abbiamo comprato, vestiti, macchina etc. E il disoccupato? Non può parlare di queste cose. Allora si tace.

Dunque c'è chiaramente una frontiera tra quelli che sono nella società, gli insiders, e quelli che sono a l'esterno, gli outsiders.

E questa frontiera è molto difficile a superare. Perchè gli insiders mettono ostacoli per impedire agli altri di entrare nel loro mondo; chi sa, lui potrebbe prendere mio lavoro?

E se la disoccupazione diventa una disoccupazione di lunga durata, allora può diventare un'esclusione sociale.
Per i lavoratori esiste un network sociale stabile a per gli altri c'è solo l'esclusione. L'integrazione sociale non funziona.
Tra l'esclusione e la vita lavorativa, la frontiera ha la pelle dura.

Gabriel Lalande

immigrati o extracomunitari?

Per tanti anni l'Italia è stata considerata come un paese di accoglienza per gli stranieri. Purtroppo, c'è stato un cambiamento quasi radicale che si fa sempre più sentire nei comportamenti della nuova società italiana. Per questa ragione mi sono interessato da più vicino alla parola extracomunitario che definisce nella coscienza collettiva una forma di confine anzi una vera frontiera raziale. Cosi la cosa che ci interessa di piu non è tanto di sapere quanti immigranti ci sono in Lombardia,Puglia etc....ma piuttosto di descrivere e capire, attraverso l'analisi di una parola della lingua italiana,il sentimento che nasce nel cuore delle persone (che sia del sud o del nord), difronte al fenomeno dell'immigrazione.
Se ci fermiamo un attimo sulla parola extracomunitario che cosa ci viene subito in mente? A che cosa ci fa pensare? Letteralmente l’aggettivo extracomunitario indica cose e persone che appartengono a (o provengono da) paesi estranei alla Comunità europea.Ecco per la definizione formale.
Quindi questa parola,se la prendiamo letteralmente, dovrebbe applicarsi a tutti gli abitanti dei paesi non Comunità Europea. Sappiamo invece che non è cosi:quando si parla di extracomunitari si riferisce quasi esclusivamente agli immigrati che vengono dall'Africa,oppure dei paesi del Est. Fattevi questa domanda:Qualcuno di voi ha gia sentito un italiano riferirsi ad un cittadino svizzero chiamandolo extracomunitario??Ovviamente la risposta è no....Perche con questa parola la lingua italiana dà la possibilta di identificare lo straniero come un "cosa" negativa per il benessere del paese.Anzi i concetti introdotti da questa parola sono due: Il primo è il riferimento alla Comunità Europea,e da un certo punto alle sue frontiere(anche se è difficile delimitare le frontiere dell'Unione Europea).Il secondo è proprio il modo negativo in cui lo straniere,l'immigrato viene chiamato:è cosi che si puo identificare il nemico.
EXTRACOMUNITARI si traduce "voi non fate parte ne della nostra zona, nemmeno della nostra cultura".E un messagio violente mandato agli immigrati.Con una parola sola si puo indovinare qual è la paura di una parte della popolazione italiana,lo straniero.Nasce un sogno claustrofobico di isolamento.E questa la vera frontiera dietro della qualle tanti italiani cercano di protegersi....
Pero se questa parola ci spaventa noi francesi,i soliti difensori del uguaglianza tra gli uomini,se no esiste nel vocabolario francese,chi puo affermare sinceramente che la paura dello straniero non è presente oggi nella nostra società?Abbiamo altre barriere,alle frontiere insormontabili per chi vuole integarsi.....

mercredi 7 octobre 2009

NAUFRAGARE OLTRE LA FRONTIERA DEL DEFINITO





Provate a immaginarvi una frontiera. Raffigurandovela troverete di certo un' unica funzione a questa linea reale o immaginaria, cioè quella di separare, dividere e mettere in confronto tutto ciò che ci circonda. Questa parola perciò circoscrive e compartimenta il mondo, basta solamente scegliere un campo che svelerà le diverse delimitazioni che ci circondano e/o costruiscono. Cosi Nicolas tratterà delle frontiere trà razionalità e l’inconscio, mentre Romain svelerà attraverso Chatwin lo sboccare d’ell’uomo nomade che si libera dalle frontiere della sedentarietà. La frontiera è ovunque una barriera, un impedimento tra due possibili, un muro di Berlino che imprigiona e costringe.

Cosi mi stavo morfondendo in una visione strettamente pessimistica della frontiera quando ebbi finalmente l’idea di una lieta e costruttiva frontiera, quella che esclude allo sguardo di Leopardi le valli di Recanati. Quest’ostacolo visivo prende la forma du una siepe in cui il poèta dell ottocento si confronta mentre stà componendo il suo celeberissimo infinito e che gli permette di immaginare quello che c’è oltre. Con lo sguardo impedito da questa frontiera ci si può interrogare sul perchè dell’amore che l’autore porta a questa « cara » siepe. Per quale motivo questa barriera può rivelarsi per lui una fonte poetica dell’immaginazione che, invece di separarare due universi, trasforma l’ostacolo in un ponte tra realtà e immaginario. La siepe imprigiona magari lo sguardo, ma libera un’immaginazione capace di figurarsi quel che c’è dietro. Sradicandoci così dalla prigione dei nostri sensi si puo raggiungere con la forza del pensiero la soddisfazione delle illusioni indefinite. La siepe di Recanati non limita affatto le nostre possibilità, ma catalizza invece una fantasia che ci propone un’avventura intima, una contemplazione del vago come lo dice lui stesso nello Zibaldone : « l’anima immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre qli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perchè il reale escluderebbe l’imaginario ». Si sostituisce cosi al reale una finzione immaginaria che mette in moto un universo temporalmente e geograficamente infinito (lo dice usando les parole « interminato spazio », « sovrumani silenzi » o ancora « profondissima quiete »). Per la prima volta « l’ermo » colle che personalizza la frontiera non è solamente un elemento di esclusione ma di dialogo trà quello che è reale e quello che è immaginato. Se mi posso permettere una metafora avventurosamente poetica, vedrei l’ostacolo del monte Tabor come l’asse di un altalena che permette un dondolio, un movimento tra la precisione delle sensazioni reali e lo smarrimento indefinito e vago dell’immaginazione. In altri termini questa barriera à il punto di riferimento trà la tristezza di un esattitudine reale e il vagheggiamento felice nel territorio immenso del sogno come lo esprimodo i due ultimi versi della poesia : « (…)così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio/ e il naufragar m’è dolce in questo mare ».

Entousiasta nella dinamica costruttiva e dinamica di questa frontiera mi sono chiesto se fosse possibile dare un’ impressione magari piu estetica della relazione trà il vago immaginato e la precisione realistica nella poètica leopardiana. Godendo peraltro di un supporto web, straodiarianamente più diversificato che il foglio scritto, mi sono convinto ad includere un veicolo fotografico alla mia analisi. E cosi eccomi sceso per strada davanti a casa mia alla ricerca della propria siepe. Dopo qualche instante di ricerca mi trovai qualche sogetto di studio, ossia un pugno di cespugli che delimitano la banchina pedonale. Troverete di certo un po inutili questi intrallazzi, rivelando inoltre nelle mie pratiche un dilettantismo ingenuo. Magari. Nonostante ciò vorrei far spuntar fuori una rappresentazione grafica di quel che puo essere la frontiera tra la precisa materialità della siepe e il metafisico vago secondo piano. Quest ultimo è senzaltro l’humus di un’ immaginazione indefinita. Provocando una profondità di campo ristretta al minimo con un focus sui dettagli della pianta, la sfumatura dell’orrizonte risulta evanescente e vaporosa. Al di là dei fogli volutamente precisissimi in dettagli anatomici, lo sfocamento del mondo reale è spinto al massimo. Sono perciò i contorni del cespuglio che servono da frontiera tra il definito e il vago, rivolgendo a noi spettatori il dovere di immaginare, di costruirci il nostro mare di sogni, per poter infine « naufragarci » del tutto. Solo con questa frontiera della fantasia si può sorpassare un mondo talvolta insopportabile. Qui io ci vedo un bell' insegnamento: non dimentichiamoci mai di perderci, ecco quel che ci insegna Leopardi.


LA POESIA E LA SUA TRADUZIONE FRANCESE

L’INFINI

Toujours elle me fut chère cette colline solitaire
et cette haie qui dérobe au regard
tant de pans de l'extrême horizon.
Mais demeurant assis et contemplant,
au-delà d'elle, dans ma pensée j'invente
des espaces illimités, des silences surhumains
et une quiétude profonde ; où peu s'en faut
que le cœur ne s'épouvante.
Et comme j'entends le vent
bruire dans ces feuillages, je vais comparant
ce silence infini à cette voix :
en moi reviennent l'éternel,
et les saisons mortes et la présente
qui vit, et sa sonorité. Ainsi,
dans cette immensité, se noie ma pensée :
et le naufrage m'est doux dans cette mer.
Giacomo Leopardi

L’INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
de l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi

mardi 6 octobre 2009

Al di là delle frontiere fisiche si trovano delle frontiere mentali

Nella società c'è gente che attraversa a Venezia il nuovissimo ponte di Calatrava nel modo più facile che c'è. C'è anche gente che non lo può fisicamente attraversare - ne abbiamo già parlato. C'è pure questa categoria di gente che attraversa il ponte però è tutta una storia diversa perchè ogni movimento - ma anche ogni azione da loro nel mondo - è sottomesso a rituali ossessivi che perturbano la loro vita quotidiana.
C'è chi conta quante volte si è lavato le mani perchè ha una fobia dei microbi, c'è chi evita di camminare sulle bande bianche per la strada perchè lo disturberebbe profondamente farlo. La Sindrome ossessivo-compulsiva è una di queste frontiere mentali che fanno sì che non abbiamo tutti la stessa percezione del mondo. Significa che questo mondo che dividiamo tra noi tutti non è realmente lo stesso, difatti circa una persona su cinquanta è affetta da DOC; non è dunque un caso raro al livello globale.
Altre frontiere a una vita calma sono la Sindrome da deficit di attenzione e l'iperattività, ben conosciuti dai bambini perchè spesso sono stimulati grazie a medicine come il Ritalin. Il deficit di attenzione e l'iperattività impediscono il concentrarsi soprattutto quando l'attività, la lezione, ciò che si sta facendo non interessa la persona che ne soffre. Niente è peggio della noia. Occore liberarsene ! Allora ci si agita perchè si necessita di dopamina. Si nota l'uso abuso di psicotropi in paesi come gli USA dove il 16% dei bambini prendono della Ritalin - quando sono fortunati e non si vedono prescritte medicine molto più potenti e usate nel trattamento della schizofrenia come il Risperdal o Zyprexa - mentre solo l'1,6% dei bambini soffre realmente di un problema di scambio di dopamina al livello sinaptico e può dunque essere trattato. Gli altri hanno solo bisogno di imparare a controllarsi.
Un'altra frontiera è quella della propria malattia, cioè la schizofrenia. Quando si pensano le proprie ossessioni como vere mentre esistono solamente nella mente, il mondo esterno non è più il luogo dove si vive. L'autismo pure esclude : il 50% degli autisti non comunica verbalmente. L'altra metà non percepisce il mondo nello stesso modo di noi, non reagisce a un certo linguaggio che non è formalmente stabilito da parole che hanno uno senso preciso.

Le frontiere mentali che mettono più o meno da parte le persone sono numerose e la gente che ne soffre non è un'eccezione nella società attuale. Bisogna adattare allora la società affinché questa gente sia più capace di vivere, cioè siano facilitati gli accessi ai trattamenti, e il modo in cui e il luogo dove sono trattati i malati.

Perchè si deve ben scegliere qualcuno!


Primo era l'ebreo, poi la donna. La sua inferiorità non faceva nessun dubbio, e tutti gli uomini erano daccordo per dargli il ruolo di quella che sia inutile. Poi, perchè hanno comminciato a chiamare l'egalità, la politica gli ha roconosciuto qualche diriti e oggi ognuno dice che sia l'eguale dell'uomo. Anche se è evidente che ci sono ancore molte inegualianze di fatti (salari, pensioni…) e soprattuto inegualianze nel immaginario colletivo.

Si usa ancora la donna per vendere qualunque cosa, si pensa ancora che il cervello feminile sia piu picolo, si mette la donna nuda in vetrina in Bruxelles, coperta dalla testa ai piedi dai piu retodradi dei musulmani, si perdona il stupro ai registi famosi. Pero la Segolene Royal è andata al secondo turno, in Germania hanno per la seconda volta la Angela Merkel, e anche in paesi del Sud, si fiducia nelle capacità politiche della donna. Infatti oggi la società si è scelta un nuovo capro espiatorio.

Una volta ancora, è molto facile a riconoscere. Ha il viso diverso, la faccia "abronzzata" come si piace a ripeterlo il Premier dell'Italia. René Girard, grande sociologo francese, ha scritto un libro su questo fenomena sociale che consiste a sempre trovare il nemico perfetto, quello che è a l'origine di tutti i disordini della nostra società. Girard spiege che la società crea quest'individuo per lottare contro la violenza che nasce della concorrenza che c'è fra le personne e che è dovuto al "volere scimmiottare". Perchè tutti si uniscono contro di lui, la società ritrova la pace.

Oggi in Francia le associazione chiedono alla polizia di smettere i controlli di identità sistematichi. Quello che si fa controllare potrebbe chiedera alla poliza il certificato di controlo e si potrebbe sorvegliare quante volte i poliziotti dano questo certificato. Lo scopo sia quindi di limitare le discriminazione razziale.

Pero chi potrebbe oggi prendre il posto dell'abbronzato? Oggi, chi si puo detestare di piu dello straniero (o da quello che assomiglia a uno straniero)? Forse il Cinese. Il livello di tolleranza al razzismo anti-asiatico è piu elevato che quello delle altre communautà? Per Dominique Sopo, presidente dell'associazione SOS-racisme in Francia, questo è verro oggi ; "Non ci sono contenziosi coloniali tra i Francesi e gli Asiatici come se ne puo esistere tra la popolazione francese e i Nero o gli Arabi. "

vendredi 2 octobre 2009

"I shall be gone and live or stay and die"




Il viaggio. Una parola che sveglia nel cuore di chi sa ascoltarla, un sentimento di sogno, di movimento continuo, di libertà.
Attraverso il viaggio immagini il superare i confini, il camminare con lo scopo di trovare qualcosa: probabilmente la pace interiore. Cosi certi grandi viaggiatori ci insegnano il senso del nomadismo; Henri de Monfreid, Nicolas Bouvier, Joseph Kessel, Slavomir Rawicz... Ma quello che ci interessa di più è l'affascinante Bruce Chatwin. Nato nel 1940, questo inglese di Birmingham doveva già per forza essere predestinato al viaggio. Infatti ci spiega lui stesso le origine linguistiche del suo cognome: "Mio zio Robin, il suonatore di fagotto,affermava che chette-wynde significava sentier sinueux nella lingua anglosassona" (cf Anatomy of restlessness, Jonathan Cape, 1996). Per ciò il piccolo Bruce era apparso sulla Terra con già l'idea che il suo futuro sarebbe stato pieno di sorprese.
Bruce Chatwin è anche il narratore delle proprie avventure di viaggio. Avventure che ci trasportano nel mondo con solo la potenza del pensiero. Ma avventure anche completate da un'immensa cultura che ci fa scoprire il naturale nomadismo dell'essere umano. I temi principali che troviamo nella letteratura di Chatwin sono sicuramente legati a questo concetto: le radici e lo sradicamento, l'esotismo e l'esilio, la proprietà e il rinunciare, la metafisica del nomadismo. Cosa intede con "nomadismo"? Secondo lui la parola è stata definita ben male dal dizionario. Il nomada non è quello che vaga alla deriva, il vanderer. Etimologicamente legato al latino e al greco, il concetto viene dal verbo "pascolare". Infatti le culture tribbali seguono un comportamento abbastanza tradizionalista, che spesso si riferisce alle stagioni. Le migrazioni si operano secondo un abbitudine già fissata dalle tradizioni secolari e sono soggette ad eventuali cambiamenti soltanto in caso di aridità o di catastrofa naturale. Il nomada segue in genere il movimento del cibo, ossia degli animali che caccia. Ma innanzitutto, Bruce Chatwin ci invita nel capire cosa rappresenta il concetto stesso di nomadismo all'interno delle nostre società contemporanee. Si potrebbe riassumere tutta la sua visione con un'unica domanda: Siamo sicuri che l'umanità possa trovare la sua pace interiore rimanendo rinchiusa nella "gabbia cittadina"? Almeno lui non lo crede affatto. E riferendosi a Pascal, ci spiega che tutta la tristezza dell'uomo è dovuta alla sua incapacità a restare tranquillamente in una stanza: "La nostra natura si riferisce al movimento. L'unica cosa che ci consola dalla nostra miseria è il divertimento".
In questo senso, il nostro avventuriere Bruce vede il nomadismo come l'ossigeno dell'umanità. Rimanere intrappolato in una stanza con le serrande chiuse deve per forza condurre l'uomo verso la follia. Cosi, l'idea del movimento continuo riflette il cambiamento che diventa quanto l'acqua e il cibo, una necessità vitale. Bravo Chatwin che prende Montaigne come punto di riferimento: "Il viaggio mi sembra un esercizio profitabile. L'anima ci trova una continua esercitazione a notare le cose sconosciute e nuove e non conosco migliore scuola che possa strutturare la vita seno proporli sempre la diversità di altre vite[...]".
A Ibn Battuta, gran' medico e infatigabile vagabondo arabo, completare quest'idea dicendo: "Quello che non viaggia, non puo conoscere il valore degli uomini".
Per concludere sù questo breve riassunto della tematica principale del nostro grande Chatwin, dobbiamo anche pensare il viaggio come modo di strutturare la coscienza. In quel senso che lo sviluppo della curiosità spontanea aiuta a crescere con il mondo che ci circonda. I bambini sviluppano la loro imaginazione e la loro arte grazie allo sforzo di scoperta e di comprensione di tutte le cose attorno alloro.
L'uomo a sempre camminato. Puo essere che il nomadismo sia il suo stato naturale, il modo di esistere veramente come individuo libero e in pace con se stesso.

Emerson: "[...] et ce bénéfice est réel, parce que nous avons le droit à ces élargissements, et, une fois ces frontières franchies, nous ne redeviendrons jamais plus tout à fait les misérables pédants que nous étions".

Romain Eychenne


vendredi 18 septembre 2009

Si ricomincia...

Ci è stato chiesto per la creazione di questo blog narativo di raccontare al nostro modo delle esperienze puntuali ma che fossero legate a dei contesti particolari.
Cosi mi godo la fortuna di cominciare a riempire un progetto che, almeno lo spero, sarà sviluppato e nutrito da tanti altri racconti unici. Viaggiare per sognare o sognare per viaggiare, capire l'attualità al di là delle solite notizie giornalistiche, intingersi nel pensiero delle persone incrociando una certa visione dell'esistenza con la nostra epoca.
Diamoci da fare ragazzi!!! C'è tanto da scrivere e tanto da raccontare!!! Alle vostre penne o piuttosto alle vostre tastiere!!! E via!!!